CONTEMPLAT[T]IVI
- Abramo Ferrara
- 28 feb
- Tempo di lettura: 4 min
Stadera n. 161 – Mar/Apr 2025
C’è un proverbio latino che recita così: “Promissio boni viri est obligatio”, la promessa di una persona seria è un obbligo, e quindi deve essere mantenuta. E poiché nel mio articolo sulle consonanze fra Don Tonino Bello e Don Salvatore Mellone, pubblicato nello scorso numero della Stadera, mi ero ripromesso di tornare sull’argomento, anche a dimostrazione che non si trattasse di un mio personale abbaglio o, peggio, di un azzardo, eccomi qui ancora una volta (come ogni buon assassino che torna sul luogo del suo delitto … mi si perdoni la facezia) con le prove di quanto vado sostenendo.
DUNQUE: “È bello contemplare le pagine del Vangelo”. È l’incipit della prima omelia da sacerdote appena ordinato del nostro Don Salvatore: la data, infatti, è quella del 17 aprile 2015, III° Domenica di Pasqua, Anno B. Osservo: non dice “è bello leggere il Vangelo” oppure “proclamare il Vangelo”; no! Dice “contemplare”!!
“Leggere”: lo facciamo in tanti, magari soprattutto gli studiosi che poi ne analizzano il senso, la forma o fanno riferimento ai luoghi nei quali si sono verificati i fatti raccontati e si soffermano sulle parole pronunciate e sulle parabole raccontate da Gesù.
“Proclamare”: certo, nelle sacre liturgie, durante le Sante Messe il Sacerdote celebrante o il Diacono in effetti non leggono, sia pure ad alta voce, la pagina del Vangelo del giorno. Essi la proclamano perché la Parola del Signore non è un bel romanzo ma la Sua Vita, il Suo insegnamento, la Sua Testimonianza: quella unica ed irripetibile del “Dio fatto uomo per la nostra salvezza”.
Ecco, allora, “contemplare”! L’Enciclopedia Treccani lo definisce così: “Guardare a lungo, osservare con attenzione una cosa che desti meraviglia o ammirazione. Fissare il pensiero su qualcosa: la verità, la grandezza di Dio”. Sì, fissare il pensiero sulla grandezza di Dio; e come farlo se non “contemplando” e, … come suggerisce Don Salvatore: “abbiamo bisogno … di ‘adagiarci’ … fondamentalmente sul suo cuore” … per … “gustare veramente la bellezza e la gioia di una vita vera, piena”.
Adagiarci come San Giovanni, l’Apostolo che Gesù amava, sul Suo cuore. Ma attenti, non siamo di fronte ad un invito a poltrire, a rifugiarci in poltrona o sul divano. Al contrario, l’invito di Don Salvatore è chiarissimo: “gustare la bellezza e la gioia di una vita vera, piena”.
E una vita piena è una realtà che non fa sconti, che non ci risparmia momenti difficili pur nella consapevolezza di essere amati da un Dio che è essenzialmente AMORE e che ci dà “la forza di affrontarli sapendo che non siamo soli”, come ci suggerisce Santa Madre Teresa di Calcutta.
Ecco, allora, la consonanza con Don Tonino Bello: la contemplazione che si fa azione per corrispondere al bene che il Signore ci dona, ogni giorno, con la vita. Essere “contemplattivi”, per usare una geniale espressione del Venerabile: “Se partiamo dall’Eucarestia allora ciò che faremo avrà davvero il marchio di origine controllata; come dire, avrà la firma d’autore del Signore”.
E ancora [ma come si fa a pensare che siano state due persone diverse a dire o a scrivere queste cose?]: “La ‘contemplattività, con due t, … vuol dire la necessità della preghiera, la necessità dell’abbandono in Dio, la necessità di una fiducia straordinaria, … di poter essere suoi intimi”.
E Papa Francesco, anch’Egli ispirato come i Nostri, nella sua Esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ afferma: “La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è ‘contemplarlo’ con amore; è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore … per … riscoprire ogni giorno di essere depositari di un bene che aiuta a condurre una vita nuova”[n.264].
Ecco: la forza di una incrollabile fede, ha accomunato questi nostri due campioni, questi nostri due ‘santi della porta accanto’.
DON SALVATORE: ‘abitare nella casa del Signore … lasciarsi abitare da Lui. … Quei momenti in cui si abita nella casa del Signore già su questa terra sono quei momenti di eternità, di gioia piena, di bellezza, di verità”.
DON TONINO: “Qualche volta con Dio facciamo così, ci aggrappiamo perché ci sentiamo mancare il terreno sotto i piedi, ma non ci abbandoniamo. Abbandonarsi vuol dire lasciarsi cullare da Lui, lasciarsi portare da Lui semplicemente dicendo: ‘Dio, come ti voglio bene’”.
Che dire, allora, di più? Siamo immersi in un mare magnum di grazie celesti che, forse, non percepiamo appieno: sì, proprio attraverso queste due presenze sacerdotali, queste due testimonianze di Vangelo puro che hanno incrociato le strade delle nostre povere vite donandoci il “profumo del cielo”.
Purtroppo un terribile male, accomunandoli nella sofferenza, li ha stroncati inesorabilmente; ma hanno vissuto la loro dolorosa esperienza sempre con grande consapevolezza e dignità ‘lasciandosi abitare’ ed ‘abbandonandosi’ fra le braccia del Signore misericordioso. Una dolorosa e sofferta testimonianza che, infine, mi fa tornare alla mente un altro vecchio detto latino: “Etiam si cecidit, de genu pugnat’. Come dire, traducendolo al plurale: ‘anche se sono caduti, hanno continuato a combattere in ginocchio’. CONTEMPLATTIVI, appunto!
Don Abramo, diacono






